Il nostro carisma domenicano

Nasciamo da un sogno

Siamo nate dal sogno di una donna, Giovanna d’Aza, madre di san Domenico. È ciò che raccontano le nostre fonti: alla madre di lui, prima che lo concepisse, era parso in visione di portare in seno un cagnolino, il quale tenendo in bocca una fiaccola ardente, una volta uscito dal grembo, sembrava dar fuoco a tutto il mondo. Ciò prefigurava la nascita di un predicatore che, assumendo l’ufficio del Verbo (direbbe Caterina da Siena) avrebbe destato le anime addormentate. Ma Giovanna sognò anche una luna, preannunciando che egli sarebbe stato in luce alle genti (cfr. Libellus de Principiis Ordinis Praedicatorum del Beato Giordano di Sassonia, n. 5; n.9). Così inizia la storia del nostro carisma.

Nasciamo da uno studio contestualizzato

Domenico nasce a Caleregua, in Spagna nel 1170. Il contesto storico che l’accoglierà fin da giovane, si mostrerà presto difficile e complesso, tra violenza, povertà e fame. Non era questa la situazione della sua famiglia, ma studiando teologia a Palencia (Libellus n.6) si imbatte in quella grande carestia che nel Secolo XIII, perversava in tutta Europa. È qui che Domenico compie un gesto premonitore, che, in seguito, sarà eredità lasciata a tutte e tutti noi dell’Ordine domenicano. Vende i suoi libri e le sue suppellettili, decidendo di seguire i consigli del Signore e insieme sollevare, per quanto era in suo potere, la miseria di coloro che morivano di fame. (Libellus n. 10). Il significato profondo dello studio nel carisma domenicano nasce proprio da questo suo primo gesto e da ciò che Domenico disse compiendolo: non voglio studiare su pelli morte, permettendo che degli uomini muoiano di fame. (cfr. Testimonianza di Fra Giovanni e Fra Stefano. Atti di Bologna 29). Le fonti riferiscono che la sua sensibilità e determinazione, si coglievano dall’apertura degli occhi (cfr. Libellus n.12). La sua vita sarà sempre una vita unificata, armonia tra il suo pensare, le sue parole, i suoi gesti e atteggiamenti. Questo fu il suo stare ed essere nel mondo.

Nasciamo dall’ascolto e dalla contemplazione

Una seconda scelta permea quello che resterà per sempre nel nostro carisma domenicano. Divenuto canonico regolare nella chiesa di Osma, vive tra ascolto, studio delle Scritture e contemplazione. Nello spazio silenzioso del chiostro della cattedrale di Osma, Domenico coltiva la sua sensibilità. Riflessivo, silenzioso ma molto cordiale e sereno, raccontano i suoi contemporanei. Quegli anni passati a Osma sono per lui iniziazione a quelle che, saranno in seguito, le sue più vere e profonde trasformazioni esistenziali. Fiducioso e sollecito per il bene di tutti fa della sua contemplazione intercessione per i più deboli e misericordia per l’umanità intera. Alla sorgente del Mistero attinge grazia e purifica la sua intelligenza e la sua fede, mentre coltiva passione profonda per l’umano. La preghiera e la contemplazione saranno il suo stile e lo stile dell’Ordine, nella consapevolezza che è nell’intimo che si apprende la sapienza. (cfr. Sal 51,8).

Nasciamo dal viaggio interiore ed esteriore: itineranza e predicazione

Domenico resterà ad Osma fino a quando per circostanze diplomatiche, viaggerà verso il sud della Francia insieme al suo vescovo Diego. In quella parte d’Europa, incontreranno morte e violenza. Quella situazione genera in Domenico inquietudine e compassione. Inquietudine nei confronti dei metodi che la chiesa usava per predicare contro gli eretici, Albigesi e Catari e cioè l’uso della forza e della violenza per persuaderli alla dottrina cattolica, quindi: uso delle armi e guerra. La compassione invece, nei confronti delle popolazioni coinvolte in quella situazione, tra carestia e distruzione. Molte persone, donne e uomini cercavano nell’eresia un modo per scappare dalla povertà. Così nasce il carisma della predicazione, in una situazione di profondo dolore e confusione. L’itineranza non si riferisce a semplici spostamenti di luogo in luogo, ma alla profonda sollecitudine che ci sospinge verso gli altri. Quel contesto diventerà la sua ispirazione e insieme al vescovo, chiederanno a papa Onorio III, la possibilità di restare in quelle zone per poter predicare. Dopo la morte del suo amico e vescovo Diego, Domenico resterà in quei luoghi da solo per alcuni anni. Sarà proprio da quel difficile contesto che nascerà la prima comunità domenicana; comunità femminile, composta da alcune donne convertite e dunque uscite dall’eresia. Solo dopo qualche anno si riuniranno attorno a Domenico altri compagni di desiderio.

Nasciamo nella vita comune: povertà personale e comunitaria e mendicità

L’intuizione di Domenico nasce dall’obbedienza profonda allo stile delle prime comunità credenti. L’Ordine domenicano si formerà piano, piano con piccoli nuclei chiamati: “case di predicazione”. Il luogo è il convento, cioè luogo del con-venire insieme. Le comunità non risiedono lontane dalla realtà dove si svolge quotidianamente la vita della gente, ma formano parte delle città che in quel momento incominciavano a delinearsi. A chi vive insieme, è chiesto di imitare lo stile delle prime comunità cristiane (cfr. Atti 2,42-47; 4,32-34): assidui nell’ascolto delle Scritture, nella comunione, nella frazione del pane e nella lode. Tenevano ogni cosa in comune, chi aveva proprietà le vendeva e ne faceva parte a tutti. Questo stile permetterà alle nuove comunità domenicane di vivere in povertà in mezzo ad altri poveri. Ma anche di vivere di mendicità volontaria (stile tipico dei poveri nel medioevo) e allo stesso tempo studiare e insegnare con stile “mendicante”. Per questo possiamo dire che nasciamo in comunione anche nello studio, per intuire la verità sottesa ovunque: in tutte le scienze, in tutte le arti, in tutti i “linguaggi altri”, anche quelli più semplici di persone e culture. Lo studio sarà l’unica vera proprietà dell’ordine; profonda obbedienza a cui tutte e tutti in questa famiglia siamo chiamati, sempre. Fin dal primo Capitolo Generale di Bologna, si intuisce che la vita insieme o in comunione, non è semplice istituzione ma progressiva trasformazione di coloro che ne fanno parte; non è somma di 1 + 1 ma scambio di ciascuno con le altre e gli altri.

L’eredità

Domenico morirà a Bologna nell’agosto del 1221. A differenza di moltissimi fondatori e fondatrici, lui non ci ha lasciato nessuno scritto, se non un breve biglietto indirizzato alle monache di Madrid. Non abbiamo dunque la sintesi delle sue intuizioni ma, attraverso i racconti dei suoi contemporanei, è rimasta a noi, come eredità preziosa, la sua vita. Una vita che paradossalmente si sviluppa tra quiete profonda (contemplazione) e costante movimento della mente e dello spirito. Non avere degli scritti suoi, ma racconti di altri, ci offre una estrema libertà di interpretazione ma, allo stesso tempo, ci richiama a profonda responsabilità in obbedienza reciproca, le une alle altre.

Attratte dal Mistero, cerchiamo Dio ovunque, ma soprattutto là dove non esiste bellezza né grazia (cfr. Is 53,2-3). Alla fine della sua vita Domenico lascia un testamento verbale molto bello: “vi sarò di aiuto più dal cielo che sulla terra”. È alla luce di queste parole che proseguiamo il nostro cammino fiduciose.